Come sono state giudicate le plusvalenze fittizie finora?4 minuti di lettura

Abbiamo già cercato di capire meglio di cosa sia accusata la Juventus sul filone plusvalenze. Credo sia ora opportuno capire come finora siano stati gestiti altri casi “simili” (in realtà alcuni sono ben più gravi, come vedrete) in cui la Giustizia sportiva è stata chiamata ad emettere un parere su operazioni di plusvalenze fittizie, le stesse di cui è accusata la Juventus.

 

CASO #1 – GENOA, UDINESE, REGGINA (2008)

Contestata la slealtà sportiva ai dirigenti di Genoa, Udinese e Reggina per aver posto in essere “la condotta consistente nella contabilizzazione (…) di plusvalenze fittizie derivanti dalla stipula dei contratti di cessione con corrispettivi di gran lunga superiori a quelli realmente attribuibili”. Al Genoa, inoltre, per per aver compiuto “condotte connesse e finalizzate a far apparire perdite inferiori” al fine di “ottenere l’iscrizione al campionato di competenza”.

Risultato? Ammenda di 400.000€ per le società.


CASO #2 – SAMPDORIA (2008)

Contestata la slealtà sportiva ai dirigenti della Sampdoria per “mancata svalutazione nei bilanci successivi delle poste attive già contabilizzate” con condotte “finalizzate a far apparire perdite inferiori a quelle realmente esistenti” e per “la contabilizzazione della plusvalenza (fittizia) derivante dalla stipula dei contratti di cessione con corrispettivi di gran lunga superiori a quelli realmente attribuibili”.

Risultato? Ammenda di 36.000€ per la società.


CASO #3 – MILAN E INTER (2008)

Contestata la slealtà sportiva ai dirigenti di Inter e Milan per aver posto in essere la condotta di abnorme e strumentale valutazione dei diritti alle prestazioni sportive” di alcuni calciatori e per aver contabilizzato delle plusvalenze (fittizie) derivanti dalla stipula dei contratti di cessione con corrispettivi di gran lunga superiori a quelli realmente attribuibili.

Risultato? Ammenda di 90.000€ per le società.


CASO #4 – CHIEVO E CESENA (2018)

Contestata la slealtà sportiva ai dirigenti di Chievo e Cesena per scambi avvenuti “in modalità incrociata” di “atleti, ceduti ed acquistati per somme considerevoli” “di valore pressoché identico”, “con conseguente compensazione tra i prezzi di acquisto e di vendita”. Particolare 1: “Nella quasi totalità dei casi la cessione di tali diritti ha riguardato giovani atleti non professionisti, con i quali la società cessionaria non ha successivamente stipulato alcun contratto“. Particolare 2: “Gli atleti i cui diritti sono stati acquistati non sono stati impiegati dalle società acquirenti (neanche nel settore giovanile) ma sono stati quasi immediatamente trasferiti temporaneamente e gratuitamente alla medesima cedente ovvero a società dilettantistiche, spesso ubicate nella medesima regione della cedente”.

Risultato? 3 punti di penalizzazione per il Chievo e 15 per il Cesena. *

* sentenze non passate in giudicato in quanto nel frattempo le due società sono fallite.


Ma c’è di più. Come fa notare l’amico avv. Francesco Andrianopoli, che ringrazio per il materiale raccolto, c’è un altro precedente più recente e più indicativo. La Corte Federale d’Appello si è espressa infatti, nel recente 2019, giudicando un ricorso della Fiorentina contro Perugia e Atalanta, accusate dai Viola di essersi messe d’accordo per spartirsi la percentuale di rivendita di un giocatore (Mancini). Provo a sintetizzare la vicenda: praticamente il Perugia compra un giocatore dalla Fiorentina, e i due club si accordano su un 10% su una futura rivendita. Dopo di che, il Perugia vende il giocatore all’Atalanta e davanti ai giornalisti i dirigenti dicono di aver scambiato il calciatore per 1.5 milioni di euro. Nelle carte federali, invece, risulta venduto per 200k+300k di bonus. Contemporaneamente, poi, il Perugia vende un altro giocatore sconosciuto all’Atalanta per 1 milione di euro. Insomma, per la Fiorentina, un raggiro bello e buono. La giustizia sportiva respinge per ben due volte il ricorso della Fiorentina con la seguente motivazione:

“In definitiva, questo Collegio ritiene che non possa essere – in difetto di specifica previsione della normativa federale – il giudice sportivo a cifrare l’esatta valutazione “negoziale” di un calciatore, sia perché compito estraneo alla sua funzione, sia perché l’entità del rischio che ogni società sportiva decide di assumere é basata su non palesi e personali valutazioni. Ne consegue che – allo stato – deve ritenersi demandato al giudice sportivo il solo compito di verificare che lo schema contrattuale non violi le norme dell’ordinamento sportivo e rifletta la concreta volontà delle parti per disciplinare i loro contrapposti interessi“.

In pratica quando si scambiano fra loro i giocatori, come avvenuto fra Perugia e Atalanta, le squadre fanno delle non palesi e quindi personali valutazioni che servono per disciplinare i loro CONTRAPPOSTI INTERESSI, non necessariamente di natura tecnica. Si sta dicendo che è consentito che i club facciano le loro valutazioni, che nessuno possa metterle in dubbio perché è impossibile stabilire una valutazione oggettiva e perché per sua natura la valutazione è “personale”. E che bisogna solo controllare la validità formale dell’accordo.

Se a questo aggiungiamo le recenti dichiarazioni del presidente Federale Gravina che ribadisce coerentemente con tutte le pronunce precedenti l’impossibilità di stabilire la valutazione di un calciatore e quelle del Ministro Abodi che si domanda come sia possibile un accordo illecito fra due squadre dove una sola viene punita, direi che il quadro è abbastanza completo per farsi un’idea dell’abnormità della penalizzazione per 15 punti.

Si può pretendere un po’ di coerenza?

P.S. Per sorridere un po’. La notizia della multa a Genoa, Reggina e Udinese (caso 1) venne così commentata con un oggi involontariamente sarcastico “mano pesante della Commissione Disciplinare della Federcalcio” (link)

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