No, il razzismo non è mai una colpa4 minuti di lettura

Premessa, su Bonucci. Dire che un ragazzo vittima di ululati razzisti sia responsabile al 50% di quegli ululati razzisti è fare un ragionamento razzista. Non ci giriamo intorno e non ci sono altri modi per giudicare quella puttanata detta da Leo. Sicuramente nella vita non sarà razzista, sicuramente intendeva dire altro, sicuramente voleva dare un suggerimento positivo al giocatore, quasi da fratello maggiore, alla uomo di mondo vita vissuta, ma gli è uscita una cagata di frase. E se su BBC, New York Times e compagnia varia ci è finito Bonucci e non chessò Allegri, è proprio per l’uso delle parole e per quella frase abominevole che, ripetuta e ascoltata, non può che essere interpretata in senso razzista. Le parole sono importanti, non c’è alcun complotto mondiale contro Bonucci: ha semplicemente sbagliato, punto.

Ciò detto, vorrei andare un po’ più a fondo. E partirei da un tweet scritto da Marco Iaria (Gazzetta dello Sport) oggi pomeriggio che trovo perfetto per introdurre il primo punto.

Non conta la percezione di chi sta in tribuna o davanti alla tv, contano solo le sensazioni di chi è in campo e ha la pelle nera. Nessuno di noi, bianchi europei, può valutare un buu: trasmette un senso di inferiorità di cui non siamo mai stati vittime.

Spero Giulini l’abbia letto perché nessuno si sarebbe dovuto permettere di giudicare il comportamento di Matuidi e definirlo “una sceneggiata” come ha fatto lui. Anzi, a Matuidi avrebbe dovuto chiedere scusa, come fatto l’anno scorso, e poi semmai spiegargli il suo punto di vista o dirgli l’unica cosa possibile, ovvero di non dare troppo peso all’imbecillità di alcuni individui.

Secondo punto. Non ha senso dire che se quell’esultanza l’avesse fatta Bernardeschi la reazione del pubblico sarebbe stata la stessa. Primo perchè non è vero e nessuno avrebbe fatto ululati e buu. Secondo perché è no. E’ diverso. Mettetevelo bene in testa: i buu ai bianchi fatti dai bianchi sono diversi dai buu ai neri fatti dai bianchi. E’ l’ABC, è la premessa di ogni discorso serio possibile altrimenti davvero non riusciamo nemmeno a dialogare. E sono diversi per la STORIA. Ciò che pensate voi è assolutamente irrilevante. Non conta. Non si deve partire da quello, è un errore. Non è una questione che si possa affrontare con i “secondo me”. Si deve partire dalle vittime e da quello che in quel momento provano, che è una sensazione di rabbia e paura che ha mandato nel panico, proprio a Cagliari, prima del ragazzino 19enne, anche giocatori di maggiore esperienza tipo Sissoko, Eto’o, Matuidi, Muntari, Balotelli. Gente che ha giocato ai massimi livelli ed è stata sottoposta a qualsiasi tipo di stress e pressione in carriera, e che pure quei buu li ha vissuti male. Non possiamo, per riassumere, usare gli stessi parametri che useremmo tra bianchi e biachi. I neri e i bianchi sono uguali, ma la loro storia e la nostra storia no.

Terzo punto, e questa volta prendo in prestito un tweet di Luca Momblano.

Di tutta questa sgradevole vicenda ne resta che dobbiamo e possiamo insegnare ai Kean del calcio come perfezionarsi sul campo, come funzionano gli spogliatoi, persino come comportarsi tra i professionisti. Ma non dobbiamo né possiamo goffamente insegnare loro a essere bianchi.

Ed è quello che, disgustoso, è avvenuto nel day after sui giornali. Questa rivoltante voglia di insegnare a Kean come debba reagire alle provocazioni, o addirittura genericamente come debba comportarsi. Su Libero sono arrivati a scrivere “Fate ragionare Kean o farà la fine di Balotelli”. Sul Corriere dello Sport invece Cucci ha scritto che a Kean servirebbe un “maestro delle buone maniere”. Come quei neri dell’America coloniale che dovevano essere civilizzati per stare coi bianchi. Ti mandiamo dal maestro delle buone maniere così impari a comportarti, che sei selvaggio! Il tutto, ricordiamo, per aver fatto un gol e aver allargato le braccia. Cucci che conclude quell’articolo ricordando come Eto’o nel 2010, sempre a Cagliari, in realtà quasi si divertì ad essere vittima di cori razzisti. Anzi, cito, “non gli era dispiaciuto essere al centro dell’attenzione mediatica”. Come a dire: Kean, rilassati! Mica come Zoro, torno a citare, che “scagliò irato il pallone verso gli ululatori”. Perché, cito ancora, sono “cose di calcio. Il razzismo è di chi vuole fortissimamente credere”. Ecco, per me QUESTO è un ragionamento incredibilmente razzista, inaccettabile, intollerabile. Lasciate che Kean sia Kean, e basta.

P.S. Il fondo credo si sia toccato con quei giornalisti che da qualche giorno non fanno che intervistare il padre naturale del ragazzo, una persona dalla quale Kean ha più volte preso le distanze, il cui rapporto con il figlio è “avanzo due trattori dalla Juventus” e che si è fatto vivo solo dopo che è diventato famoso e potenzialmente ricco. Sciacalli.

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