Brutta cosa, i processi6 minuti di lettura

Il tribunale di Napoli è immenso. Avete presente un aereoporto? Mancano solo gli aerei. Per uno strano scherzo del destino, si trova in Via Biscardi. Non Aldo, ma Serafino. Per raggiungere la famigerata aula 216 si prende l’ascensore, poi si attraversa un lungo tratto a piedi e infine si sale ancora, un altro piano più in alto. C’è un corridoio, abbastanza grande. Da fuori l’aula, affacciandosi, si possono vedere man mano gli imputati che si avvicinano con i propri avvocati. E’ stato così pure martedì scorso. Ero lì.

Ho visto prima sfilare la Morescanti col marito, Fabiani. Un po’ più tondetta, più mamma. Sempre bella. Discuteva con la Fazi. La Fazi è una di quelle che quando ci pensi ti aspetti di vedere… chessò.. una strega. La Fazi! La grande manovratrice occulta! Una che comandava il calcio italiano, che teneva a bacchetta i designatori, e persino Moggi! Dal vivo è una donna dolce. Ad un certo punto, prima della sentenza, è uscita per fumare. Si avvicina e con lo sguardo fa capire che c’è tensione. Rispondo sospirando. Non ci conoscevamo, mai visti prima. Eppure c’era tanta umanità, quella di una persona che è stata dipinta per quello che non è. Verrà assolta. Mi ha fatto piacere. Parlava con la Morescanti. Che poi.. parlava? Praticamente in due avranno detto più parole di quante ne pronuncio io in un anno. Chissà che si dicevano. Non parlavano del processo. Non lo faceva nessuno. Era un modo per non pensarci, farsi coraggio. A Fabiani ho visto fare un sorriso, appena arrivato. Un evento, mi dicono i sempre presenti. Bergamo era teso, come sempre. E’ uno di quelli che ha vissuto malissimo il processo, sin dal primo momento. “Me l’aspettavo”, ha detto appena uscito, deluso. Gli credo. C’aveva proprio la faccia di chi non aveva fiducia alcuna. De Santis è arrivato come al solito sorridente. Saluta sempre tutti i tifosi e i presenti, parla con loro, gentilissimo con tutti. Non è arroganza, né lo fa per qualche ragione. E’ così. Ti vede la prima volta e ti tratta come se ti conoscesse. Chi l’ha accusato di aver avuto un rapporto d’amicizia per aver dato del tu non lo conosce. Con me l’ha fatto prima ancora di aprire bocca. E’ entrato in aula, ha salutato. Poi man mano che passavano i minuti non riusciva a restare fermo, e si è messo a passeggiare nel corridoio col suo avvocato, Gallinelli. Niente da fare: erano tutti tesi, persino lui. Ambrosino era fuori la porta, che commentava le dichiarazioni di Abete, da me lette pochi istanti prima. Bertini? Non ne parliamo.. Bertini non resiste più di 10 minuti in aula, tra una sigaretta e l’altra. Iniziasse un discorso, si perderebbe dopo 10 secondi. Bertini fa impressione, davvero. Poveraccio. Come Scardina, che se guarda il gabbio gli gira la testa e trema. Altro che cupolari e manovratori! Moggi è stato l’ultimo ad arrivare, puntuale come un orologio svizzero (per restare in tema). Aveva detto alle 19.30, e alle 19.30 era lì, con l’avv. Prioreschi e Ugolini al seguito. Prima di entrare una stretta di mano. Ferma, ma con un sorrisino. Teso pure lui, anche se mascherato bene. “Come va?”. Lui a me. Come vuoi che vada, ero più consumato di lui, dall’attesa. Appena saputo che alle 20 ci sarebbe stata la sentenza, sono tornato a casa da lavoro, neanche ho mangiato, panino al volo in autogrill e viaggio per Napoli, per esserci. A prescindere dal risultato, non ho rimpianti. Sono salito sul carro dei perdenti. Che è più onorevole di quello dei vincitori.

Perdenti, già, perché con qualche minuto di ritardo la Casoria, accompagnata dalle due a latere, ha letto il dispositivo. Ero in piedi su una sedia, in fondo. In diretta radio. Capuano era sorridente già da 10 minuti. E’ una sfilza di “colpevole”. Uno dietro l’altro. La Casoria legge ad una velocità impressionante. Non si capisce niente. “A, B, C, E, F, G!”. L’alfabeto. Mi scappa un “è una strage!”. La A viene ripetuta otto volte: sta per associazione a delinquere. A metà lettura esco dall’aula. Chiedo conferme, ai presenti, fingendo di non aver capito. Come quando ti dai un pizzicotto. “Ma gli hanno dato pure l’associazione?”. “Tutto”. Nessuna delle tre ha mai guardato gli imputati. Mai. Una leggeva, le altre due guardavano una il dispositivo, l’altra pareva stesse pregando, con lo sguardo verso il basso. Ad un tratto esce un avvocato, gridando. E’ contento, e lo lascia a vedere. Era Vitiello. Di fronte, due donne che piangono (per rispetto non dico chi). Un avvocato (idem) sconsolato, seduto, che parla da solo: “Non è possibile” (e altro). Era un ragazzo del pool di Moggi. E’ il brutto dei processi penali, questo. Già, perché forse l’avevamo un po’ dimenticato: era un processo penale. Sono brutti. Esperienze forti. C’è sempre uno che esulta e uno che piange. Uno vince, l’altro perde. Uno brinda, l’altro non mangia.

Per la prima volta, Calciopoli, non è più un processo di calcio (al calcio non lo è mai stato). Per la prima volta, si è stati giudicati “criminali”. Come quelli dell’aula di fianco, dove l’ultima volta c’era un processo per omicidio. O l’altra ancora, dove c’era un processo di Camorra. Forse, solo allora, gli imputati si sono davvero resi conto che non è più questione di fuorigioco, di ammonizione e quant’altro. Non se l’aspettava nessuno. “Massimo due-tre condanne per frode, per non farci chiedere un sacco di soldi”, sospira un imputato (assolto). Lo schiaffo è di quelli che fa male. Alcuni sono portati fuori di peso. Moggi scappa subito dalla porta sul retro, non vuole saperne, non parla con nessuno, dice solo “Non ho parole”. Effettivamente resti senza. Vedere De Santis, fuori dal tribunale, che chiede a Gallinelli come sia possibile che gli abbiano riconosciuto delle frodi (e tolto quella dove avrebbe favorito la Juventus. E nonostante tutto gli hanno comunque lasciato l’associazione) mette tristezza. Prioreschi fa la conta delle frodi concluse con un’assoluzione, fa il professionista fino alla fine. Lui, il leone, è il più mortificato e sconsolato. E’ andata male, malissimo.

“Pure il sorteggio truccato?”. “Ma che hanno dato Udinese-Brescia?”. “Manco le hanno lette, le difese!”. Questa frase, in particolare, mi ha colpito più di tutte. Sono tra quelli che hanno provato a vederci più chiaro, con analisi, controanalisi, telefonate, incroci. La sensazione, alla fine, è di essere rimasti al 2006. Ancora una volta. La rabbia diventa rassegnazione. E’ come aver giocato a poker, e aver perso a scopa. Brutta cosa, i processi penali. Specie in Italia. Se potete, evitate di farvi processare.

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