La storia di Paulo Dybala, dalla Polonia all’Albiceleste25 minuti di lettura

I Dybala, forse non tutti lo sanno, sono originari di Kraśniów, un piccolo villaggio rurale del comune di Opatowiec, nel voivodato di Świętokrzyskie, a sud della Polonia. È lì, ad una sessantina di chilometri in linea d’aria da Cracovia, che viveva nonno Bolesław. Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu costretto dai Nazisti a partire per i lavori forzati. Finita la guerra, non rimase più nulla, men che meno un lavoro. Bolesław venne così a sapere da ex compagni di prigionia che c’era la possibilità di partire per l’Argentina e partì, senza nemmeno avere un referente dall’altra parte dell’Oceano né un indirizzo dove andare. Si armò di bagagli e coraggio e, arrivato in America, per due settimane dormì in un campo di pannocchie senza nulla da mangiare. L’impatto fu tremendo. Alcune persone lo trovarono sfinito e allo stremo delle forze e gli salvarono la vita offrendogli cibo e cure. Fu così che i Dybała (pronuncia polacca: Diubàua) divennero “argentini”, divennero Dybàla. Questa è la loro storia. Questa è la storia di Paulo, il nuovo fenomeno della Juventus.

Del nonno, Paulo sa pochissimo. Morì quando era ancora piccolino. Sa, tramite i suoi parenti (argentini), che “lavorava per i preti”, in un monastero o in una chiesa, vicino ad un fiume. Aveva un fratello in Canada col quale si sentiva tramite posta e una sorella in Polonia, con la quale scambiava l’opłatek (una piccola cialda bianca benedetta con raffigurazioni della Natività, preparata in Polonia in occasione delle celebrazioni natalizie). Non parlava più polacco da tempo e i contatti della sua famiglia originaria erano praticamente solo in quelle lettere, che doveva ormai farsi tradurre. Paulo, chiariamolo, è argentino al 100%, nato e cresciuto a Laguna Larga, un paesino di 8.000 anime della provincia di Cordoba. È lì che si stabilì nonno Bolesław ed è lì che crebbe papà Adolfo e, poi, anche Paulo.

Paulo nella sua Laguna Larga

Il rapporto col papà è stato ben più profondo e significativo. Anche lui fu calciatore: giocò come centrocampista centrale nel Club Atlético y Biblioteca Newell’s Old Boys (quello di Laguna Larga, non il più famoso di Rosario). Gli amici lo chiamavano el Chancho, letteralmente “il maiale”, per via dei suoi interventi diciamo poco raffinati. Fuori dal campo, invece, è ricordato ancora oggi per essere stato una brava persona, sempre educato e molto legato alla famiglia. Di lui si diceva potesse arrivare in Primera, ma non riuscì mai a fare il grande salto. Gli toccò così gestire una loterìa (una ricevitoria) in via Hipòlito Yrigoyen, nei pressi del terminal dei bus di Laguna Larga. Si chiamava La Favorita, guarda un po’ proprio come lo stadio del Palermo.

Era un posto bellissimo. Qui, tutti i ragazzi del mio quartiere si sono riuniti. Tutto intorno era circondato da pneumatici per autocarri. Quella era la tribuna dove le persone si sedevano per vederci.

Non abbandonò mai, però, né la passione per il gioco, né soprattutto il sogno che un giorno, in Primera, potesse finirci uno dei suoi tre figli maschi. Il primo a provarci fu Gustavo, oggi 35enne: non era un granchè e optò presto per una paga sicura facendo l’imbianchino. Il secondo, Mariano, oggi 32 anni, c’era quasi riuscito e chi lo ha visto giocare giura fosse addirittura più forte di Paulo con il pallone tra i piedi: gli mancò la determinazione e la volontà e si fece prendere dalla nostalgia di casa, fallendo pure lui nell’intento. Il terzo, il nostro Paulo, era il classico predestinato. Iniziò a giocare a pallone a 4 anni presso La Canchita del Seba (il campetto del Seba, al secolo Sebastian Barrionuevo), un terreno trasformato in campo di calcio improvvisato, con dei giganteschi pneumatici di camion a formare le tribune tutto intorno. Ci giocavano tutti i ragazzini del paese. Le divise erano le stesse per tutte le età, dai bambini in su per tutti c’era solo una taglia, unica. Ora c’è un parco di divertimenti, la Ciudad de los Niños (la città dei bambini), ma i classe ’80-’90 se lo ricordano ancora quel posto “magico”, eccome. Era un calcio povero, di strada, ma già lì si capiva come Paulo fosse speciale.

La Lotería de Córdoba

A 10 anni sostenne un provino per il Newell’s Old Boys (quello prestigioso di Rosario) e lo superò. Rosario era però troppo distante da Laguna Larga così papà Adolfo scelse di provarlo anche per l’Instituto Atlético Central, di Cordoba. Un giorno, i due si presentarono a La Agustina, il centro tecnico del club. Era a 50 minuti di auto da Laguna Larga, da percorrere lungo la Ruta Nacional 9 con l’Opel Vectra nera di famiglia, ma era pur sempre meglio di Rosario: 65 km invece di 350 km. Ad accoglierlo nel vecchio campo de La Gloria, era il lontano marzo del 2003, fu Santos Turza, il suo primo vero “scopritore”. Gli erano giunte di un “mancino di talento” e lo volle vedere dal vivo. Paulo si presentò con la maglietta del Boca Jrs., la sua squadre del cuore. Turza lo osservò palla al piede per 10 minuti e gli bastarono per proporre al padre di cambiarla con quella biancorossa dell’Atlètico. Da quel giorno, il padre lo accompagnò ogni singolo giorno, fino ad un maledetto martedì di settembre del 2006. Paulo aveva 13 anni, non gli avevano detto niente, volevano proteggerlo. Adolfo aveva un cancro al pancreas. Morì prima che potesse vedere realizzato il suo sogno.

Non c’è un momento esatto, perché succede spesso e sempre per lo stesso motivo: piango per mio padre, morto quando ero piccolo. Ha lottato per tanto tempo contro un tumore al pancreas, ma è stato inutile. A me, per proteggermi, non dicevano tutto, così io mi illudevo, speravo che guarisse. Oggi parlo spesso di lui con mamma, mi succede di sognarlo e ogni volta mi sveglio tra le lacrime.

A Dybala crollò il mondo addosso, il suo punto di riferimento fino a quel momento venne meno, nulla più aveva senso, neanche il calcio. Decise così, ancora bambino, di lasciare il calcio e tornare a Laguna Larga. Era il sogno di papà Adolfo, vero, ma ora c’era da aiutare la mamma con la ricevitoria, c’era da tornare alla realtà, c’era da crescere. La famiglia, però, non gli permise di buttare via tutto e non smise mai di incoraggiarlo e supportarlo, convinti che il suo destino fosse davvero quello di diventare un calciatore professionista. Ne erano convinti anche a Cordoba, tanto che non lo mollarono assolutamente e, anzi, gli permisero solamente di giocare sei mesi in prestito nel Newell’s Old Boys (quello di Laguna Larga) per stare vicino alla famiglia in un momento difficile. Poi, però, se lo ripresero, eccome.

Paulo con mamma Alicia

Senza il padre e senza soldi, tornato all’Instituto, a Dybala non restò che accasarsi nella pensione del club, inaugurata l’anno prima. È da lì che proviene il suo soprannome, El Pibe de la pensiòn. Ci restò fino al 2011 quando, a 17 anni, firmò il suo primo contratto da professionista, un triennale, per 4.000 pesos, il minimo sindacale che però gli permise di prendersi una casa in affitto e un’auto, finalmente (una Seat Leon di seconda mano). Il debutto si racconta che Dybala lo avesse già fatto, ma sotto falso nome, perché non ancora tesserato ufficialmente con la prima squadra. Quello ufficiale, ad ogni modo, avvenne il 13 agosto del 2011: Instituto-Urtica 2-0, prima giornata della Nacional B, la Serie B argentina. El Pibe partì negli 11 iniziali a causa della squalifica dell’attaccante titolare e di altre assenze che colpirono la squadra di mister Darìo Franco lasciandolo senza alternative: si mangiò due gol facili, ma impressionò per l’immediata intesa con i compagni e per la personalità dimostrata. Era la prima volta al vecchio Monumental, 26mila spettatori, un impianto conosciuto come Estadio Presidente Peròn che, negli anni ’40, contribuì economicamente a costruirlo. Sembrava di ghiaccio, per nulla intimorito, calmo, tranquillo.

Il primo gol arrivò già alla seconda partita, il 20 agosto, contro l’Aldosivi nella Ciudad Feliz, Mar del Plata. Paulo indossò la camiseta numero 9 e, da vero rapace dell’area di rigore, si tuffò di testa per raccogliere la sponda di un compagno sugli sviluppi di un corner, bucando così per la prima volta da professionista una porta avversaria. A 17 anni 9 mesi e 5 giorni divenne il più giovane calciatore della storia dell’Instituto a segnare un gol e battè il record del ’72 di Mario Kempes, una vera e propria divinità locale. Il giornalista al seguito dell’instituto, il giorno dopo scrisse di lui sul suo giornale: “È come un diamante!” e lo soprannominò La Joya (il gioiello). La stagione di Dybala fu straordinaria: fu il primo minorenne dai tempi di Diego Armando Maradona a segnare una tripletta (l’8 ottobre contro l’Atlanta, proprio come El Pibe de oro nel ’78), il primo nella storia del club a segnare per sei gare di fila, il primo a segnare ben due triplette. Alla fine chiuse con 38 presenze consecutive (altro record, anche questo prima di Kempes) e 17 gol: era pronto per la Primera.

L’1 luglio 2012, dopo 325 giorni e 41 partite (incluse 3 di Copa Argentina) e una cavalcata straordinaria (4-0 all’Atlanta, 3-0 al Boca Unidos, 3-1 all’Aldosivi, 3-0 al Central, 4-0 all’Atlético Tucumán, 4-1 contro lo Sportivo Desamparados…), l’Instituto arrivò alla tanto attesa finale promozione, contro il San Lorenzo. Tale sogno però si infranse contro la difesa del San Lorenzo che, pareggiando 1-1, conquistò la promozione a spese della squadra di Paulo. Lui, allora, fece emozionare l’Argentina scoppiando in lacrime, inconsolabili. Fu la prima stagione da protagonista e visse subito la più grande delusione sportiva della sua carriera. Non importava che fosse stato convocato, nel frattempo, dalla U-20 Argentina. Non importava che sarebbe molto probabilmente andato via lo stesso, essendoci già diversi club europei interessati: era il sogno del padre, quella Primera. Magari, un giorno, fra tanti anni, Paulo lo realizzerà.

E’ stato un sapore amarissimo, la delusione più grande della mia carriera. Avevamo pensato di potercela fare, ma alla fine restammo a mani vuote. Fu terribile, scoppiai a piangere e nessuno riusciva a consolarmi.

Le lacrime dopo la mancata promozione

Il primo club europeo a mettere gli occhi addosso a Dybala fu l’Inter. I nerazzurri se ne innamorarono subito e lo seguirono per tutto il suo anno da professionista mandando spesso degli emissari a visionarlo dal vivo. Il costo si aggirava allora sui 2-3 milioni di euro: per un’Inter vecchia e con l’impellenza di ringiovanire la rosa, un prezzo tutto sommato spendibile. Se ne innamorò anche e soprattutto Javier Zanetti che lo vide da vicino in una partita di beneficienza organizzata dalla Fondazione Pupi alla quale Paulo partecipò a fine campionato, anche grazie alla pressione del suo procuratore che intendeva portarlo a Milano. A proposito di quell’amichevole: Dybala servì prima un assist a Gonzalo Higuain, poi realizzò il gol del definitivo 4-3. Fu quella la prima partita che disputò assieme al Pipita, quattro anni fa. Pareva tutto apparecchiato per l’Inter, ma successe l’imprevedibile. Luca Cattani, capo degli osservatori prima e direttore sportivo del Palermo poi, era infatti a Cordoba per concludere la trattativa per l’acquisto di Franco Vazquez dal Belgrano e incontrò casualmente a cena – così racconta – Juan Carlos Barrea, il vecchio presidente dell’Insituto che gli disse: «Io ne ho uno più forte di Vazquez». Cattani, incuriosito, iniziò ad informarsi e rimase impressionato pure lui dal giovane Dybala, tanto da convincere Zamparini a portarlo immediatamente a Palermo a tutti i costi: per i rosanero (e soprattutto per le casse del club), sarebbe potuto diventare il nuovo Cavani.

Il Palermo in effetti riuscì ad acquistarlo, ma l’operazione si è rivelata alla fine assai più complicata e onerosa del previsto. Nel frattempo, infatti, Barrea, il vecchio presidente, cedette il ragazzino alla Pencil Hill Ltd, società facente capo all’impresario Gustavo Moscardi, intascando così 3 milioni e mezzo di euro, pare nemmeno tutti corrisposti. Venne fissato un incontro a Vergiate fra Zamparini, Mascardi – incaricato dalla società – e Vincente Montes Flores, consulente della Pencil Hill Ltd cui come detto l’Instituto aveva ceduto i diritti economici di Dybala. Si arrivò così al 24 aprile quando venne messa la firma sul contratto preliminare d’acquisto dell’argentino. L’accordo prevedeva un costo tutto compreso (Instituto più Mascardi) di 11 milioni e 860 mila euro. Mascardi, poi, avrebbe girato 2 milioni di euro al procuratore di Dybala, Gonzalo Rebasa, per ottenere anche la sua firma. Problema: secondo Zamparini, la firma di Dybala sul contratto non arrivò. Anzi, il nuovo direttore sportivo del Palermo, Giorgio Perinetti, venne a sapere che nel frattempo Rebasa, ignaro di tutto, fosse a Londra ad offrire il proprio cliente al Tottenham. Mettiamola così: Dybala fu spinto in tutti i modi, pacifici e non, ad accettare di farsi cedere, sia per salvare le casse dell’Instituto, sia perchè il fratello Gustavo, una notte, ricevette una telefonata minatoria abbastanza esplicita. Raggiunti telefonicamente, il 19 luglio, presso un hotel di Milano, Dybala e procuratore sottoscrissero ad ogni modo una scrittura privata con la quale il Palermo si impegnava a versare quei due milioni al procuratore, pur di non perderlo. E la firma arrivò.

Dybala e Zamparini

Fine? Macchè. Con altra scrittura privata, infatti, Zamparini riconobbe all’avvocato Riccardo Petrucchi, pure lui presente all’incontro di Milano, un compenso di tre milioni e mezzo di euro per l’intermediazione sostituendo così l’accordo con Rebasa (per i due milioni). Che però li chiese lo stesso perchè li aveva promessi alla famiglia Dybala all’atto della firma. Facciamo un po’ di conti (fonte: i bilanci del Palermo)? 5.140.000 € vennero versati all’Instituto, 3.500.000 € alla Pluriel Limited (holding con sede a Londra, di proprietà di Petrucchi) e 6.720.000 € alla Pencihill LTD (holding anch’essa con sede a Londra e facente riferimento a Mascardi). Totale? 15.360.000 €, di cui 6.720.000 €, gli ultimi, contestati da Zamparini davanti al TAS (che gli ha dato torto). Risultato? Il 12 aprire scorso il presidente rosanero ha presentato un esposto in procura per denunciare il raggiro di cui sarebbe stato vittima. Alla fine, comunque, il Palermo ha finito per spendere ben più di quei 2-3 milioni di euro con i quali l’Inter era convinta di portare a casa Dybala. Un bagno di sangue e rabbia.

Poi, però, c’è stato il campo. Quello, senza ombra di dubbio, ha dato pienamente ragione al club rosanero.


di Benedetto Giardina

Quattro allenatori in un anno e mezzo. Dove, se non a Palermo? Ecco, Paulo Dybala è stato snobbato (o quasi) da quattro allenatori nel giro di circa sedici mesi da quando s’è materializzato in quel di Malles, sede del ritiro del Palermo, fino al definitivo exploit in maglia rosanero. Eppure, quando è arrivato in Trentino, tutti hanno pensato ad uno scherzo. Il suo volto non poteva essere familiare, anche se già da aprile il suo nome era sulle pagine di tutti i giornali. Quando Giorgio Perinetti, direttore sportivo del Palermo, si presentò con questo ragazzino… anzi, con questo bambino; l’incredulità dominò su ogni altro sentimento. Prendete un ragazzino di tredici anni, di quelli a cui stanno per spuntare i baffi sotto al naso: ecco, questo era visivamente Paulo Dybala appena giunto in ritiro. I ragazzini della Primavera, onestamente, sembravano degli uomini già vissuti, se messi al confronto con il talento di Laguna Larga. Da lì a soprannominarlo “u picciriddu” (il bambino, appunto) il passo è breve. Perché quel Palermo, come prevedibile, va male; e dagli spalti non è raro sentire qualche tifoso urlare un disperato “fa’ trasiri u picciriddu” (fai entrare il bambino). Gente che non l’aveva mai visto giocare e che per vederlo con la maglia del Palermo ha dovuto attendere la seconda giornata di campionato, quando arrivò in extremis il transfer dall’Afa, ma che voleva vederlo in campo nella speranza che Zamparini c’avesse visto giusto.

Esordio dimenticabile, quasi da spettatore nel 3-0 subito a Roma per mano della Lazio, così come la prima da titolare, in uno scialbo 0-0 casalingo col Torino. I dubbi restano vivi fino alla seconda partita giocata dal primo minuto: Palermo-Sampdoria, Miccoli non c’è e tocca a lui. Doppietta e vittoria, col Palermo che si tira fuori dalla zona retrocessione e torna a respirare, ma soprattutto torna a vedere un talento puro sul proprio campo, con la maglia rosanero. L’impressione è quella che Dybala possa cambiare le sorti di una squadra disastrata, ma che abbia ancora bisogno di tempo per farlo. Le lacune su alcuni fondamentali sono ancora evidenti, così come la resistenza alle botte che le difese italiane gli hanno riservato sin dalla prima partita. Dopo quella doppietta arriva solo un gol, nel 2-2 in casa con la Lazio, poi tanta panchina. Prima perché Malesani e Gasperini gli hanno preferito a turno i carneadi Mauro Boselli, Mauro Formica e Diego Fabbrini, poi perché il rientrante Sannino s’è ritrovato nel bel mezzo di un miracolo. Quando Miccoli torna a fare il Miccoli e Ilicic si sveglia, d’altronde, non ha senso cambiare formazione. E allora Dybala si accomoda in panchina e si prende qualche minuto di spazio nella rincorsa verso una salvezza insperata, che il Palermo perde al fotofinish.

È Serie B, e a dispetto di qualche mal di pancia, Dybala è in ritiro agli ordini di Gennaro Gattuso. Siamo al quarto allenatore nel giro di un anno e, senza timore di smentita, siamo di fronte a quello che meno di tutti ha capito il suo ruolo. Si parte con due moduli, il 4-2-3-1 e il 4-3-1-2, con Dybala “indiscutibilmente trequartista”. Quella squadra aveva anche Franco Vazquez in rosa, ma per la regola delle liste venne tagliato dall’allenatore calabrese, che in ritiro lo schierò persino da regista a centrocampo. Chiusa questa piccola parentesi, Dybala in Serie B è un pesce fuor d’acqua. Gioca tra le linee e non riesce mai a rendersi pericoloso verso la porta. Forse solo in un caso ha un’occasione da gol, in Coppa Italia contro il Verona, quando spara sul palo una conclusione a botta sicura dall’altezza del dischetto. Dybala dietro le punte non funziona, è palese, ma l’esperimento continua fino all’immancabile esonero di Gattuso. Zamparini chiama Giuseppe Iachini che subito dichiara di vedere Dybala da punta, senza nemmeno averlo allenato una volta. Tanto basta per dargli un minimo di vitalità ma, ennesima pagina sfortunata dei suoi esordi in rosanero, l’argentino prende una botta al costato nel derby col Trapani. Nulla di grave all’apparenza, tant’è che neanche gli viene fischiato fallo, ma sta di fatto che fino a marzo Iachini deve fare a meno del suo numero nove.

È un Palermo strano, quello in Serie B. Di sicuro non è un inno al bel gioco, con due punte fisicamente imponenti (Belotti e Lafferty) a trascinare l’intera squadra, poi però qualcosa cambia. Iachini arriva a fine settembre e già ad ottobre ha chiesto il reintegro di Vazquez, che per regolamento poteva essere effettuato solo alla riapertura delle liste. Vazquez a febbraio è di fatto un nuovo titolare ed il 1° marzo torna a disposizione Dybala. Rientra in campo contro il Bari, partendo dalla panchina, e al primo pallone toccato va a segno. Il primo gol in Serie B, il primo di una lunga serie su assist di Vazquez, che con il talento di Laguna Larga forma una coppia tecnicamente ingiocabile per il torneo cadetto. I due si ripetono due settimane dopo, in casa col Brescia, scambiandosi il favore a vicenda nel 2-0 che lancia il Palermo verso il ritorno in Serie A. Il campionato per Dybala si chiude con cinque gol e sei assist, di fatto realizzati tutti nelle ultime sedici giornate. Numeri per nulla entusiasmanti, che in sé non racchiudono nulla. È semmai il cambio di marcia dato a tutta una squadra che resta impresso negli occhi di chi ha seguito quel torneo: da “semplice” prima della classe a corazzata senza pietà, capace di vincere col minimo sforzo facendo semplicemente arrivare la palla lì davanti.

“La Serie A, però, è diversa”, frase fatta che tutti affibbiano a quel ragazzino ancora acerbo, sulla carta incapace di trascinare una neopromossa. Eppure Iachini continua a dargli fiducia, anzi: persi Lafferty ed Hernandez, Iachini gli mette sulle spalle il peso dell’intero attacco. Un peso metaforico, fino a un certo punto: Dybala mette qualche chilogrammo in più di muscoli (la differenza fisica tra il primo anno di Serie A e il secondo è impressionante) e gioca da unica punta col solo Vazquez alle spalle. Segna all’esordio con la Sampdoria, incanta San Siro nel blitz esterno dei rosa e si dimostra pure un discreto battitore di punizioni. Quel che fa davvero capire di avere in mano un fenomeno, però, è il momento in cui azzanna l’avversario. Dybala impara ad essere spettatore attento delle partite, partecipa alle azioni da lontano e senza palla, per poi diventare letale negli ultimi venti metri. È uno dei due meriti principali di Iachini nella sua crescita: quello di aver limato la sua frenesia nel cercare il pallone in zone di campo che non gli competono. D’altronde, oltre a Vazquez, s’è ritrovato un redivivo Maresca pronto a lanciarlo nel migliore dei modi.

Ma Iachini, oltre ai meriti, ha una “colpa” enorme: siamo a Storo, confine tra Lombardia e Trentino, estate 2014. A semicerchio, davanti alla porta, troviamo il mister insieme a Belotti, Vazquez, Hernandez e, appunto, Dybala. “Dovete imparare la differenza tra tirare e calciare: tirare significa colpire la palla, calciare significa mirare gli angolini”, e via di allenamenti giornalieri sui tiri in porta. Fate la conta dei pali colpiti in quella stagione e capirete tutto. È diventato un cecchino fin troppo preciso.

Al di là di legni e sfortune varie, le sue tredici reti valgono al Palermo una salvezza più che tranquilla, oltre che la consacrazione in campo nazionale. Il suo nome inizia a rimbalzare anche al di là dei confini, tant’è che in Argentina iniziano a temere il possibile blitz di Antonio Conte per convocarlo in maglia azzurra. La corsa a tre fra Italia, Polonia e Argentina, però, viene chiusa immediatamente dallo stesso Dybala: il sogno è la maglia Albiceleste e, pochi giorni dopo la prestazione monstre a San Siro contro il Milan, il c.t. Conte deve far ritorno da Palermo con il secco “no” dell’attaccante. La nazionale argentina la raggiungerà un anno più tardi, da giocatore della Juventus, ma già a Palermo è seguito con attenzione dal “Tata” Martino. Troppa concorrenza per fargli spazio, queste le motivazioni legate alla mancata chiamata nel periodo in rosanero. È lì, probabilmente, che Dybala capisce di essere pronto a fare il salto immediato. Palermo, che di giovani campioni ne ha visti passare tanti, sa bene come funziona: ultima partita in casa contro la Fiorentina, giro di campo e standing ovation per un “picciriddu” diventato campione.


Il resto è storia.

“La Juventus comunica di aver perfezionato l’accordo con il Palermo per l’acquisizione a titolo definitivo del diritto alle prestazioni sportive del calciatore Paulo Dybala a fronte di un corrispettivo di 32 milioni di euro pagabili in quattro esercizi. Il valore di acquisto potrà incrementarsi di 8 milioni di euro al maturare di determinate condizioni nel corso della durata contrattuale. Gli effetti economici e patrimoniali di tale acquisizione avranno effetto a decorrere dalla stagione sportiva 2015/2016. La Juventus ha sottoscritto con lo stesso calciatore un contratto di prestazione sportiva quinquennale”.

Storico è anche il suo primo anno in bianconero, straordinario. Ma il momento più emozionante, per lui, è avvenuto il 13 ottobre 2015. Quel giorno, sostituendo Carlitos Tevez, sempre lui, esordì con la maglia dell’Argentina. Quel giorno, e solo quel giorno, guardando al cielo, potè probabilmente vedere l’immagine del padre emozionato. Ce l’aveva fatta. Ora, è tempo di divertirsi e fare divertire, nella Juventus. E di dominare anche a livello internazionale.


di Francesco Federico Pagani

È un mancino speciale, quello di Paulo Dybala. Un piede raffinato, da aristocratico del calcio. Guardandolo giocare, sono tante le cose che balzano subito all’occhio. In primis, quella caratteristica che ne fa un calciatore sui generis: la semplicità con cui compie ogni gesto tecnico. Quella leggerezza propria di tutti i predestinati, che gli permette di fare con naturalezza ciò che vuole del pallone. Ovvero, quel primo aspetto della tecnica di base che si va a guardare in un calciatore. Che sia di petto, testa, collo o piede, il ragazzo di Laguna Larga mostra una totale confidenza con la sfera, che doma a proprio piacimento. Poi, la guida. Praticamente tutto col mancino, perché quando sei predestinato ti basta un piede solo per fare la differenza. Palla sempre in controllo, sia nel breve che quando strappa in allungo. Qualità che, abbinata alla sua spiccata combinazione motoria, gli permette di puntare e saltare gli avversari con efficacia, quando con facilità (con 2.7 dribbling a partita è stato, secondo WhoScored, il quarto giocatore per dribbling su match nel corso dell’ultima Serie A).

Il calcio è poi di livello assoluto. Una manna per questa Juventus, che perso soprattutto Pirlo non aveva giocatori che brillassero in questo fondamentale (posto che Pogba era più che discreto nel tiro, ma da calcio piazzato ha sempre mostrato i propri grossi limiti). Ho ancora negli occhi una sua punizione che probabilmente non scorderò mai: primo febbraio 2015, il Palermo ospita il Verona, che dopo otto minuti passa in vantaggio con Tachtsidis. A riequilibrare il risultato ci pensa proprio il mancino sontuoso di Paulo Dybala, che schiaffeggia il pallone d’interno, lo fa piroettare sopra la testa della barriera e lo manda – imparabile – a baciare il palo alla sinistra di Benussi, facendolo poi accomodare soavemente in rete. Una conclusione che fa impazzire il Barbera, e fa saltare sulla poltrona anche me: il talento del nipote di Bolesław Dybala era noto a tutti ormai da tempo. In quel momento però percepii chiara e definitiva la sensazione che fosse già più che pronto al salto di qualità, che infatti arrivò pochi mesi più tardi.

Tra i fondamentali tecnici che risaltano, anche il tiro. Pulito, molto preciso, discretamente potente. Ben coordinato nella sua esecuzione sia da fermo, che in corsa, che al volo, il mancino di Dybala è sicuramente tra i piedi più interessanti che circolano in Serie A. E non solo. Infine, il passaggio filtrante e quello diagonale. Ovvero la sua capacità tanto di rifinire per i compagni meglio posizionati (9 assist per lui lo scorso anno in campionato, sesto in classifica generale nonché primo tra le punte) quanto di scambiare in uno-due. Di fatto, quindi, si può dire che gli unici due fondamentali un po’ deficitari siano il colpo di testa (anche per via di un fisico che certo non lo aiuta a dominare il gioco aereo) e la rimessa laterale (che è però molto meno che secondaria, in un attaccante).

Dal punto di vista tattico Dybala è poi un calciatore che a mio avviso ha tutto per fare la seconda punta pura. Quindi un po’ come fatto lo scorso anno in bianconero (ed in contrasto a quanto fatto in passato a Palermo, dove giocava più che altro da centravanti), Paulo sembra essere tagliato su misura per giocare al fianco di una prima punta di ruolo, con licenza di svariare lungo tutto il fronte d’attacco, abbassarsi sulla trequarti per ricevere tra le linee e rifinire o andare poi a cercare la conclusione personale. Avere e cercarsi insomma quel po’ di spazio che sa così abilmente sfruttare grazie alla capacità di guida della palla di cui s’è detto. La sua attitudine è abbastanza equilibrata tra finalizzazione e rifinitura, con un leggero sbilanciamento verso la prima. Come ogni buon attaccante che si rispetti, ha il goal che gli scorre nelle vene. Abile soprattutto nei movimenti d’incontro e fra le linee, come già accennato in precedenza, ama in particolar modo gravitare sul centrodestra dell’attacco Bianconero, per poter puntare la porta con i suoi inserimenti palla al piede, fatti di serpentine fulminee, sterzate a novanta gradi, cambi di passo repentini. Per smarcarsi senza palla tende invece a preferire la soluzione in appoggio al portatore.

Brevilineo di media statura, è rapido nel breve ma mostra anche una discreta velocità di base sull’allungo. Se della combinazione motoria abbiamo già detto in relazione alla sua capacità di guida della palla e dribbling dell’avversario, rilevante è anche l’anticipazione motoria, oltre che quella destrezza fine che esprime ogni qualvolta si trova a domare ed accarezzare il pallone, magari in mezzo ad un nugolo di avversari.

Acquistato di fatto per rimpiazzare l’Apache Tevez, Paulo Dybala non ha fatto rimpiangere il più esperto connazionale, mettendo in mostra una capacità già simile, tanto da contribuire alla manovra offensiva della squadra quanto di andare a finalizzarla (Carlitos realizzò 50 goal in 96 gare con la Juventus, La Joya ha chiuso la prima stagione con 23 centri in 46 match). In prospettiva si conferma quindi l’idea che mi feci di lui già all’epoca del suo acquisto: da predestinato qual è, ha tutto per diventare un calciatore anche migliore di Carlitos Tevez.


FONTI:
– Dybala y la lotería de la vida (documentario)
– Decine di interviste presso siti argentini del giocatore
– Articolo di LiveSicilia a firma Riccardo Lo Verso (link)
– Articolo di Calcio & Finanza (link)
– El Pibe de la pension, di Rosario Triolo (link)

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